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Lo squartatore di New York, di Lucio Fulci, Recensione

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view post Posted on 23/8/2022, 09:19     +1   -1
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Aceto Balsamico™ LS
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Lo squartatore di New York è un film italiano del 1982 diretto da Lucio Fulci. Segnò il ritorno del regista romano al thriller, dopo cinque horror.

A New York un uomo lancia un bastoncino al suo cane, che glielo riporta. A un successivo lancio, l’amico fidato riporta una mano mozzata, che si scopre appartenere ad una prostituta. Il caso viene affidato al tenente Williams (Jack Hedley), prossimo alla pensione. I primi indizi spingono alla ricerca di un uomo con la voce identica a quella di Paperino; dopo una serie di efferati omicidi commessi con lo stesso rituale verso le donne, la polizia ritiene che sia tutto opera dello stesso maniaco e si avvale di Paul Davis (Paolo Malco), un giovane professore universitario di psichiatria per un aiuto nelle indagini. Ma i massacri continuano…

Con “Lo squartatore di New York” Fulci torna sulla terra dopo la trilogia della morte, portando all’estremo il suo stile provocatorio e regalando allo spettatore lo sguardo più spietato, crudele e pessimista sull’uomo e sulla società in cui vive: non ci sono protagonisti, nessun personaggio positivo, non viene risparmiata nemmeno la sfera più intima, quella degli affetti. C’è un serial killer che massacra giovani donne, le sfigura, tortura e squarta; sono loro tutto ciò che l’assassino disprezza, perché fonti di sofferenza e gelosia. Il tutto nell’enorme New York degli anni Ottanta, una metropoli dove nessuno si stupisce più di nulla e di omicidi “se ne vedono tutti i giorni, nulla di speciale”. Fulci a tal proposito disse: “nel film la città rappresenta la paura collettiva e allo stesso tempo l’incubo di tanti individui soli”, l’orrore attraversa tutti e non salva nessuno, nemmeno il killer.

L’assassino stesso, infatti, è succube di una situazione irreversibile che poi sarà il movente di tutti i suoi delitti. I serial killer di Argento sibilano alla cornetta, quello di Fulci sghignazza con la voce di Paperino e tutto contrasta con l’efferatezza con cui trucida le sue vittime. Ci sono alcuni personaggi più interessanti di altri, uno di questi Jane Lodge (Alexandra Delli Colli), una moglie borghese, annoiata dal marito ed alla ricerca di emozioni forti: prima frequenta uno spettacolo di sesso dal vivo dove ansima eccitata mentre si masturba, si registra e fa ascoltare i nastri al marito; in un’altra scena si fa tentare da una relazione con due portoricani e uno le tocca le parti intime con il piede, poi finisce a letto con il maniaco senza dita che viene scambiato per il serial killer dalla polizia. Tutti i momenti che la riguardano risultano di grande forza espressiva e profondamente torbidi.

La sensazione di disagio deriva dall’abilità di Fulci di coniugare la crudeltà e il cinismo delle sue opere più ferali ad una storia legata invece alla realtà e non più al surreale come nei lungometraggi di quegli anni. I corpi femminili delle protagoniste sono involucri vuoti da distruggere e cancellare: particolarmente efferati gli omicidi dell’attrice hard dello spettacolo a luci rosse, assalita a colpi di bottiglia rotta che le lacerano la vagina, e di Kitty (Daniela Doria), prostituta e amante del tenente Williams, torturata orribilmente con una lama da barba che dalla fronte le trancia l’occhio in due verticalmente. Geniale e assolutamente da citare è anche la sequenza dell’incubo di Fay (Almanta Keller), la ragazza perseguitata dal killer, dove Fulci realizza una ripresa in cui la cinepresa è “dentro” il corpo che viene squartato, precisamente lo spettatore vede attraverso la gola squarciata.

Cinismo a secchiate. Gli omicidi sembrano quasi i dispetti di un bambino geloso, sensazione alimentata dalle telefonate dell’assassino con la polizia con la voce di Paperino. È impossibile affezionarsi a qualcuno, non ci sono protagonisti e l’unico personaggio innocente è una bambina destinata, purtroppo, a un destino infame. È il cinema “artaudiano”, come diceva lo stesso Fulci, dove nessuno si salva e nessuno si redime. Non c’è lieto fine e nonostante i corpi straziati e le scene di violenza inaudita, il momento più difficile da digerire è uno dei pochi in cui non scende una goccia di sangue: una bambina costretta a letto in ospedale, affetta da una rara malattia alle ossa, che invoca disperatamente il padre al telefono, senza ottenere risposta. Non la otterrà mai perché Paperino, il killer che è stato scoperto e ucciso (altra scena non adatta ai deboli di stomaco), è suo padre.

La risoluzione del caso lascia un sapore amaro in bocca e non si discosta dall’atmosfera mortifera di tutto il film. “Lo squartatore di New York”, in definitiva, si configura come uno dei più crudeli, violenti e pessimisti thriller della storia del cinema italiano. Scene hard e violenza senza freno, il male sono la solitudine e la mancanza di dialogo, tutto frutto di una società perbenista dove conta di più ciò che mostriamo della sostanza. Un film imperdibile se amate Fulci e il genere thriller. (★★★★½)
 
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